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Intervista al Presidente Franco Ferraris

 
 

Intervista pubblicata sullo Speciale de "Il Biellese" dedicato al Trentennale della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella (28 giugno 2022)

La Fondazione Cassa di Risparmio di Biella compie trent'anni, durante i quali alla sua guida si sono avvicendati solamente due presidenti: Luigi Squillario che assunse l'incarico dal momento della fondazione e Franco Ferraris, che il prossimo anno concluderà il secondo dei suoi mandati e, come impone lo statuto, passerà il testimone al suo successore. Solo due presidenti per un'istituzione che, però, nel corso della sua storia trentennale, è cambiata evolvendo il proprio ruolo nella comunità locale, diventando un interlocutore istituzionale imprescindibile nella vita sociale, culturale ed economica del nostro territorio.  

Presidente Ferraris, le celebrazioni degli anniversari sono un evento molto frequente. Perché quello della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella dovrebbe essere considerato speciale?  
Perché è anzitutto la festa della "nostra Fondazione". La Fondazione Cassa di Risparmio di Biella è infatti davvero un patrimonio di tutti i biellesi, il lascito delle generazioni che ci hanno preceduto per quelle che verranno e verso il quale abbiamo oggi una grande responsabilità. Per questo motivo non è assolutamente una formalità e un atto di riguardo ricordare il grande lavoro svolto dai nostri predecessori: l'avvocato Luigi Squillario, primo presidente dell'ente, e Mario Ciabattini, segretario generale fino allo scorso anno, il cui impegno ha permesso la nascita e la crescita della Fondazione.   

C'è un filo di continuità che lega questi trent'anni e che tiene insieme periodi storici e modalità di operare così diversi tra loro?  
Solo avendo ben chiare le nostre origini, che dobbiamo saper conservare e onorare, possiamo costruire il nostro futuro e realizzare una crescita radicata e duratura, perché nessun frutto cade mai troppo lontano dal proprio albero e non è un caso che per il nostro anniversario abbiamo scelto l'immagine grafica della mela, il frutto per antonomasia, frutto della conoscenza nel giardino dell'Eden, che va coltivato e protetto in luoghi come Città Studi, giardini consacrati al sapere, per poter domani essere raccolto. Ma per poter domani cogliere questo frutto dobbiamo lavorare oggi per alimentare la cultura, la coesione sociale, l'equità, il merito e la democrazia perché il nostro territorio possa andare verso il protagonismo delle comunità, rimuovendo gli ostacoli perché ciò avvenga.   

Anche perché le sfide sono sempre più complesse.  
La fragilità della nostra società, acuita da questi ultimi due anni terribili con la pandemia e poi la guerra sull'uscio di casa nostra, che hanno fatto nascere nuove povertà e nuovi bisogni, deve e può essere superata solo grazie all'innovazione, alla pianificazione e alla crescita. Un compito che le Fondazioni, nate dalla legge Amato del 1990, possono fare proprio, perché è il cuore della loro mission, definita, insieme al loro ruolo, dalla legge Ciampi del 1999. Alle Fondazioni infatti è stato affidato il duplice compito di perseguire fini di utilità sociale e, insieme, di promozione dello sviluppo economico.  

Non è più il tempo in cui le Fondazioni erano organizzazioni soprattutto filantropiche?  
Deve essere ben chiaro che oggi la missione delle Fondazioni non è rispondere alle emergenze, anche se a volte ciò viene fatto, come avvenuto per la pandemia Covid, per l'accoglienza dei profughi ucraini, per l'emergenza energetica o la lotta alla povertà educativa. Però oggi il nostro compito è soprattutto quello di riuscire a comprendere a fondo le cause dei problemi attraverso l'analisi dei dati e il monitoraggio dei progetti svolti per poter intervenire a monte e non a valle delle criticità.  

Per fare ciò servono degli strumenti nuovi?  
Sì, ad esempio come il percorso che la Fondazione ha avviato attraverso la creazione di "OsservaBiella", l'Osservatorio territoriale del Biellese, che nel 2022 ha dedicato il proprio approfondimento qualitativo ai giovani. Si tratta di un modus operandi che non vuole sostituirsi all'azione del pubblico, ma integrarsi ad essa sperimentando soluzioni innovative per il bene comune che possano ispirare politiche più ampie e durature.  

Come si realizzano questo genere di azioni innovative?
Lo facciamo costruendo vasti e inediti partenariati che riuniscono istituzioni, terzo settore e cittadini: ne sono un esempio la candidatura Unesco, grande operazione di coesione territoriale, e la cordata per il restauro e completamento della Basilica nuova di Oropa in occasione della V Incoronazione centenaria, così come pure il lavoro di squadra per la firma della nuova convenzione ventennale con l'Università di Torino.  

Per fare ciò occorre avere una visione del territorio proiettata verso il futuro.  
Sì, perché la storia della Fondazione è strettamente intrecciata con la storia della città, con il suo sviluppo negli ultimi 30 anni: dal Nuovo ospedale di Biella a Città Studi, passando attraverso Palazzo Gromo Losa, Villa Boffo, la Casa della Comunità e domani Cascina Oremo: sono questi i segni tangibili dell'azione generatrice della Fondazione, che ha creato luoghi ricchi di significato, di persone unite da valori comuni, in una parola di senso e che si contrappongono a un concetto vecchio di sviluppo basato sul modello del consumo infinito, dei non luoghi in cui le persone sono semplici "consumatori".  

Una volta individuati gli obiettivi serve però anche una gestione altrettanto innovativa delle risorse?  
L'azione quotidiana della Fondazione è basata su un'attività costante fatta di bandi e progetti che sono sempre il frutto di un lungo processo di condivisione e analisi dei dati reali tra molti soggetti diversi e si prefiggono lo scopo di consolidare le reti esistenti, favorire la proattività dei questi soggetti, protagonisti delle iniziative, e ottimizzare le risorse disponibili con una comparazione qualitativa delle proposte finanziabili.  

Esiste un format per questo genere di sistema di finanziamento?  
Oggi tutti i bandi della Fondazione, in linea con la tendenza ormai consolidata a livello nazionale, si ispirano agli obiettivi dell'Agenda Onu 2030 e al tema della sostenibilità, sia sociale sia ambientale, come ad esempio nel caso di Cascina Oremo, moderno polo di sperimentazione e inclusione tecnologica, formativa e sociale.  

Un metodo che pone al centro del sistema soprattutto il valore della progettazione.  
Oggi sempre di più dobbiamo passare dalla politica degli annunci alla politica del fare e gli esempi che ho citato dimostrano come la Fondazione sia attiva in questo senso. Il benessere delle persone deve essere al centro del nostro operare quotidiano, dobbiamo avere l'orgoglio e la responsabilità di difendere almeno quello che le generazioni prima di noi ci hanno lasciato permettendoci di vivere meglio perché, come recita l'articolo 3 della nostra Costituzione, «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Oggi abbiamo di fronte grandi sfide e i danni provocati da guerra, pandemia e cambiamento climatico, dobbiamo porre grande attenzione ad agire di conseguenza per mitigare gli effetti di questa situazione e che purtroppo possono amplificare le disuguaglianze che già affliggono la nostra società.  

E da dove si comincia?  
Sicuramente la formazione, la scuola, la sanità sono tra gli strumenti più efficaci perché questo possa avvenire. Perché le parole uguaglianza e pari opportunità abbiano un significato. Occorre stimolare una crescita complessiva della società, partendo dai giovani e dalla scuola, affinché si sviluppi appieno il potenziale di tutti i cittadini e si possano arginare le piaghe della povertà educativa, della mancanza di partecipazione attiva alla cittadinanza, perché la nostra felicità è nella felicità degli altri e una società che si arrocca nell'isolamento sociale, nello sfruttamento delle disuguaglianze e nel privilegio è una società destinata a morire.  

Enunciazioni che poi debbono avere una conseguenza pratica. Come?  
Il dialogo costante con il territorio e il contribuire affinché le cose succedano sono i punti fondamentali su cui lavorare e questo trentennale della Fondazione, che coincide con l'anno europeo dei giovani, è stato occasione per affidare a loro una riflessione sul futuro della città.  

Come avete fatto a coinvolgerli?  
Sono una trentina di giovani under 30, che abbiamo invitato sabato scorso alla nostra celebrazione. Hanno lavorato con la società di animazione sociale Pares e con la Fondazione, grazie alla collaborazione con gli enti che fanno parte di OsservaBiella che ce li hanno segnalati, per creare un vero "Manifesto" per Biella 2030.  

Di che si tratta?  
Sono 10 idee importanti, utopistiche a volte, spesso molto concrete, che disegnano la città che questi giovani vorrebbero per il loro futuro. Le parole-chiave che sono emerse sono quelle dell'impegno per un mondo migliore: sostenibilità, connessione, rigenerazione, inclusione, informazione, impresa, servizi di trasporto sostenibili, stili di vita sani, cultura e intrattenimento, casa dei giovani. Un lavoro che guarda con fiducia e speranza al futuro che ci attende e di cui la Fondazione terrà gran conto negli anni futuri. Mi sono rivolto a questi giovani, perché il loro vero impegno iniziasse subito dopo la celebrazione del trentennale: è in quel momento che la parola deve diventare "logos", farsi viva manifestazione nel mondo. A questi ragazzi chiedo che oggi, di fronte alla propria città, alla propria comunità, si assumano l'impegno e la responsabilità delle proprie parole, perché la città ha bisogno di loro, noi tutti abbiamo bisogno di loro. Sono giovani che, nel 2030, io vorrei vedere sindaco o presidente della Fondazione, dei quali vorrei vedere realizzati i sogni qui nel Biellese, perché il nostro è un magnifico territorio che merita di essere conosciuto nel mondo nella sua interezza così come sono conosciute nel mondo le nostre aziende e la ambasciate del terzo Paradiso.  

Questi ragazzi nel 2030 saranno uomini e anche loro dovranno confrontarsi con i giovani del futuro.  
Infatti, ancora di più mi sono rivolto con affetto ed emozione ai bambini che nel 2030 avranno 18 anni, una generazione verso la quale dobbiamo metterci ancora di più in ascolto con mente aperta e umiltà, perché il loro futuro dipenderà in modo fortissimo dalle scelte che oggi avremo il coraggio di fare. Sono quelli che oggi hanno "un cuore con le ali" che sa ancora guardare con mente sgombra da pregiudizi e delusioni, con semplicità e concretezza, alle cose importanti della vita, dobbiamo davvero chiedere a loro di indicarci gli obiettivi prioritari, ciò che davvero conta.  

Se dovesse indicare la ripartenza dopo i primi 30 anni della Fondazione, dove rivolgerebbe lo sguardo?  
Mi piacerebbe pensare, proprio in occasione di questa ricorrenza dei nostri 30 anni, di avere offerto in dono alla città e alla società civile una visione a cui la Fondazione si vuole ispirare, un lavoro di ricerca che è il punto di partenza per una serie di azioni dedicate ai giovani e con protagonisti i giovani che coinvolgeranno i principali attori locali. Solo un territorio che crede nei giovani, investe su di loro e li rende parte attiva della comunità può affrontare le difficili sfide che si proporranno e contribuire al proprio futuro, diversamente è un territorio destinato a morire.