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Intervista al Segretario generale Andrea Quaregna

 
 

Intervista pubblicata sullo Speciale de "Il Biellese" dedicato al Trentennale della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella (28 giugno 2022)

Da circa un anno Andrea Quaregna è il nuovo Segretario generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella. Un nuovo segretario per una Fondazione che, celebrando il 30° anniversario della propria costituzione, punta sulle nuove generazioni per impostare una strategia di sviluppo del territorio biellese per il prossimo futuro, ponendosi come scadenza il 2030.  

Lei è entrato in Fondazione 20 anni fa. Ci racconta come è stato il suo ingresso in questo ente così importante per il Biellese?  
Il mio primo contatto è stato un colloquio di lavoro con l'allora presidente Luigi Squillario nella sede di Biverbanca. Sono stato tra i primi assunti esterni all'istituto di credito; infatti, a quel tempo la Fondazione non aveva neppure una sede propria, ma occupava degli uffici nella sede della Cassa di Risparmio e lo staff era formato principalmente da funzionari della banca attraverso l'affidamento in service. Il mondo delle fondazioni bancarie lo conoscevo abbastanza bene, per aver frequentato un corso di economia all'Università Cattolica di Milano con il professor Barbetta, uno dei massimi esperti delle Fondazioni e del terzo settore, oggi responsabile dell'osservatorio e valutazione presso fondazione Cariplo. Era un momento di trasformazione dell'ente dopo i primi dieci anni in cui per le due realtà, Banca e Fondazione, non si percepiva una chiara separazione in assenza di una precisa definizione legislativa dei ruoli. Allora lo stesso padre della prima riforma del 1990, Giuliano Amato, definiva le Fondazioni di origine bancaria "Frankestein" e si parlava di patrimoni in cerca di uno scopo, poi arrivò la legge Ciampi che definì la natura e i percorsi da seguire per questo tipo di organizzazioni verso la definitiva caratterizzazione istituzionale e giuridica. Quando ho iniziato a lavorare, in quei primi anni, non è stato semplice, abbiamo dovuto costruire lentamente le nostre competenze in una struttura operativa ancora embrionale fino ad arrivare alla situazione attuale in cui la Fondazione ha rafforzato la propria equipe caratterizzata da entusiasmo e volontà di formarsi continuamente per rispondere alla sfide sempre nuove del territorio.  

Il Segretario Generale è sempre stato considerato il custode del patrimonio della Fondazione. Oggi che ha assunto l'incarico sente questa responsabilità?  
Innanzitutto, occorre ricordare che il Segretario Generale permette l'esecuzione delle scelte degli organi della fondazione ed è vero che il segretario può essere considerato il custode dal punto di vista operativo del patrimonio, ma credo sia una definizione parziale, bisogna far evolvere il termine custodire riferito a questa funzione. Infatti, il patrimonio bisogna sì conservarlo e farlo rendere adeguatamente, ma deve esserci anche un collegamento funzionale con le finalità istituzionali e in particolare con lo sviluppo del territorio, elemento non sempre facile da far emergere. Occorre passare dalla pratica della custodia a quella della cura. In ogni caso la gestione del patrimonio richiede una grande responsabilità da parte di tutta la Fondazione, soprattutto in un periodo di crisi sempre nuove e diverse che si susseguono a partire dal 2008. L'attenzione dei cittadini molte volte si concentra sui contributi stanziati, dimenticando che alla base di una solida e continuativa attività erogativa deve esserci una buona e oculata gestione del patrimonio che deve coniugare gli elementi di redditività, conservazione e collegamento funzionale. Dobbiamo lasciare alle generazioni future un patrimonio solido perché l'orizzonte deve essere quello del lunghissimo termine.  

Il fatto di dovere comunque proteggere il patrimonio, può far pensare che il Segretario Generale a volte debba scontentare gli amministratori dicendo dei no a delle iniziative troppo onerose per non mettere a rischio i conti della Fondazione. In questo suo primo anno le è già capitato?  
No, perché vi è piena consapevolezza da parte del presidente e degli organi di indirizzo e di amministrazione circa i confini in cui può agire in Fondazione, sia in riferimento allo Statuto che alla regolamentazione introdotta. Anche il protocollo d'intesa con il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha ulteriormente specificato il nostro territorio di azione. Beninteso, gli organi scelgono liberamente, ma debbono muoversi nel rispetto statutario e normativo e noi dobbiamo aiutarli a capire come fare a tradurre le strategie in azioni operative, risolvendo eventuali dubbi.  

Storicamente la Fondazione ha sempre alimentato il proprio patrimonio soprattutto grazie ai dividendi che arrivano dalla partecipazione nella banca. Da alcuni anni questa situazione è cambiata e il maggiore ricavo arriva dall'investimento del patrimonio. Un cambiamento che ha provocato problemi nella vostra gestione?  
Sicuramente un cambiamento che ha richiesto di gestire questa nuova situazione, rispetto ai tempi in cui le risorse che arrivavano dalla banca conferitaria erano le più rilevanti, con nuovi strumenti, competenze e consulenti esterni per consentire la diversificazione, la flessibilità e la selettività degli gli investimenti. Per fare un esempio, il dividendo ricevuto dalla banca CR Asti, di cui siamo il secondo azionista, nel 2021 è stato di un milione e centomila euro circa. Una cifra importante, che però fa parte di proventi che complessivamente ammontavano a circa 14 milioni totali. L'incidenza dei dividendi della banca sul nostro bilancio può comunque variare a seconda degli anni ma non è più la componente prevalente dei proventi. Una situazione senza dubbio più complessa che però ha rappresentato anche un'opportunità, che ci ha consentito un'apertura maggiore per riuscire a ottenere anche investimenti collegati alla nostra missione sociale, come, ad esempio, le attività nel social housing. Inoltre, per le fondazioni di origine bancaria una sempre maggiore attenzione ai criteri ESG è divenuto un elemento di coerenza tra investimenti patrimoniali e le finalità istituzionali.  

Durante la pandemia la Fondazione ha svolto un lavoro importante, soprattutto sulle necessità quotidiane dei cittadini alle prese con criticità mai viste prima. Un'esperienza difficile che vi ha insegnato qualcosa?  
Questi ultimi anni di convivenza con la pandemia Covid hanno evidenziato la necessità di mettere in atto azioni straordinarie intervenendo su situazioni di improvvisa fragilità, mentre la logica della Fondazione è sempre stata più costruttiva che riparativa, agendo più sulle vulnerabilità che sulle fragilità. Ma non potevamo sottrarci a ciò che richiedeva la situazione, però in quel periodo il nostro sguardo non si è concentrato solo sull'emergenza, per fare un esempio il confronto durante la situazione pandemica con i principali attori del territorio nell'ambito sociale e sanitario ha permesso la nascita di uno strumento condiviso di ascolto e programmazione fondamentale come l'OsservaBiella.  A volte c'è un'aspettativa molto elevata sulle potenzialità della Fondazione, che ha una capacità di stanziamento importante ma marginale rispetto a quella degli enti pubblici. Le fondazioni non devono sostituirsi al pubblico, occorre agire in un contesto di sussidiarietà circolare.  La Fondazione deve concentrarsi sulle proprie finalità: utilità sociale e sviluppo economico del territorio, che sono entrambe obiettivi importanti, ma debbono andare di pari passo, sviluppando una crescita armoniosa della nostra comunità con strumenti diversi, però sempre rispettando le priorità specifiche della nostra natura. Una Fondazione ha una propria specializzazione funzionale e un'autonomia di azione e può fare ciò che altri attori territoriali non possono: come, ad esempio, sperimentare l'innovazione sociale valutandone l'impatto, potendo correre il rischio a volte di sbagliare.  

In tanti pensano che a Biella manchi, in questo particolare periodo storico, la capacità di costruire una visione del futuro per creare una nuova occasione di sviluppo del territorio. È solo una questione di soldi o ci vuole altro?  
I soldi servono sicuramente, soprattutto se vogliamo attivare o infrastrutturare la trasformazione del territorio, altrimenti facciamo progetti solo di carta. Ma prima dell'aspetto finanziario i progetti devono nascere da una riflessione congiunta tra attori del territorio e la Fondazione può avere anche un ruolo di ricomposizione permettendo la nascita di rapporti di fiducia tra enti di natura diversa.  

Prima di assumere l'incarico di segretario generale, si è occupato personalmente della costruzione del percorso di candidatura di Biella come Città Creativa Unesco. A distanza di un paio d'anni dal riconoscimento l'opinione pubblica, alle prese con problemi quotidiani sempre più impellenti, si chiede ancora a cosa serva tutto ciò e quali possibili ricadute possa avere sulla vita della gente.  
Il riconoscimento dell'Unesco a Biella di Città Creativa in prospettiva è un'occasione unica che ci potrebbe permettere di fare tantissimo. Questo traguardo potenzialmente può trasformare il territorio e influenzare anche i percorsi avviati, come per esempio è avvenuto con l'istituzione del corso di laurea magistrale in Cultural Heritage a Città Studi, che non sarebbe nato senza la Città Creativa. È un esempio di come si possano attivare progetti con valore aggiunto per il territorio grazie a questa opportunità. Tante altre azioni sono state portate avanti dalle realtà biellesi, ma manca ancora la capacità di farle percepire e condividere. Un aspetto fondamentale da cogliere è che questo riconoscimento ci ha posto all'interno di una rete internazionale di città con la quale dovremmo dialogare costantemente e in modo efficace.  

In questi 30 anni la Fondazione è sempre stata considerata la cassaforte dei biellesi. È ancora così o il suo ruolo è cambiato? È ancora attuale la definizione che la Fondazione è la cassaforte dei biellesi?  
Direi che oggi una simile definizione può risultare riduttiva, perché in realtà il concetto di "cassaforte" rende solo l'idea della conservazione, mentre il nostro è un patrimonio comunitario, grazie al quale abbiamo sviluppato nel tempo competenze e relazioni che oggi ne fanno parte a buon titolo. Non siamo più semplici distributori di risorse, ma siamo coinvolti in azioni dirette diventando anche attivatori di connessioni e catalizzatori di idee sul territorio in una dimensione di reciprocità. Importanti sono anche le azioni sistemiche a livello locale portate avanti con attori come Fondazione BIellezza e  a livello regionale e nazionale con la Consulta delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e della Liguria e l'Acri e l'impresa sociale "Con i bambini".